Il Vesuvio
una importante tappa
del Grand Tour degli intellettuali del '700


di Rita Messeri

A partire dal 1600 e per tutto il diciottesimo secolo, il viaggio inteso come momento di formazione morale e culturale dell' individuo divenne quasi pratica istituzionale. Pratica ovviamente riservata alla classe aristocratica e ad artisti e letterati. L'itinerario classico seguito da questi viaggiatori, che prendeva il nome di Grand Tour, prevedeva la discesa della costa tirrenica con deviazioni interne per il Centro Italia, quindi veniva toccata l'Italia Meridionale per poi risalire verso il Nord.

Senza dubbio J.W. Goethe (1749-1832) con il suo Italienische Reise (1816-17) è uno dei protagonisti più famo i di questi itinerari. Fra i tanti pionieri del viaggio, provenienti dalla Gran Bretagna troviamo, nell'autunno del 1840, l'allora ventunenne John Ruskin (1819-1900) che di lì a pochi anni sarebbe divenuto professore di storia dell'arte ad Oxford ed uno dei maggiori critici d'arte. Da questo diario di viaggio si materializzano immagini straordinarie, acquerelli e schizzi che documentano le impressioni ricevute da luci, ombre e colori del perduto paesaggio Italiano del secolo dei grandi viaggiatori dell'arte.


Eruzione del Vesuvio al Chiaro di Luna" 1774 ca.
(Pierre-Jaques Volaire 1729-1792)

" ... infine giungemmo alla spiaggia. La luna era alta, piena molto bella e ho avuto una prima e fugace visione del Vesuvio, un'ombra grigia e scura che si stagliava nel chiarore lunare e mi sono sentito di nuovo me stesso"

Le pagine napoletane degli appunti di viaggio di Ruskin rivelano la presenza costante del Vesuvio. Con il bello e con il cattivo tempo, alla luce del tramonto e al chiarore lunare.

" Il Vesuvio giaceva sotto una massa di nubi candide e il fumo si mescolava ad esse in volute magnifiche e mutevoli; il sole colpiva la vetta innevata del cono e i vapori trascorrenti che ricadevano grevi sulle pendici.....Sono uscito giusto in tempo per vedere il sole tramontare sul Vesuvio in un cielo terso, segnato soltanto da una fascia di nubi grigie proprio dietro il cratere; il fumo, al crepuscolo, era chiaro come la neve, di bellezza squisita nella sua mutevolezza....Senza dubbio il Vesuvio è di gran lunga più maestoso di quanto avessi supposto."


(sopra) Un'eruzione del Vesuvio, 1774 (Jakob Philipp Hackert 1737-1807)

(sinistra) Il Vesuvio in eruzione con vista delle isole del Golfo di Napoli 1676-1680 ca. particolare (Joseph Wright of Derby 1734-1797)


Ben prima di Ruskin, l'ossessione descrittiva del vulcano catturò, fra i tanti paesaggisti stranieri, Pierre-Jaques Volaire (1729-1792 ca.) che lavorò in Italia dal 1764 e dal 1769 operò a Napoli, specializzandosi in vedute del Vesuvio in eruzione al chiaro di luna. Un'ossessione comprensibile e condivisibile da noi, moderni viaggiatori del tutto compreso, se solo per un istante provassimo a sgomberare il paesaggio vesuviano dall'edilizia selvaggia per restituire al Vulcano il suo diritto a creare e modificare il suo territorio di scorrimento; forse era proprio questa mutevolezza ad affascinare ed ossessionare i pittori del Sei-Settecento: il variare del paesaggio con il variare dell'umore del Vulcano rendeva necessaria una costante opera di documentazione pittorica. Anche Joseph Wright of Derby (1734-1797) e Jakob Philipp Hackert (1737-1807) resero testimonianza della potente attività del Vesuvio nelle loro vedute.

Se Derby era interessato soprattutto agli effetti della luce, che in questo caso accentuano la drammaticità dell'evento, Hackert privilegiò l'aspetto scientifico del fenomeno eruttivo di cui approfondì la conoscenza grazie anche alla sua amicizia con Sir William Hamilton, vulcanologo dell'epoca.


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